palazzetto romanin jacur

Se si parla di palazzo Romanin Jacur a Padova si pensa subito a quello situato di fronte alla tomba di Antenore, sopra alla libreria Feltrinelli, che è effettivamente la casa dove sono nati e vissuti i primi Romanin Jacur, i tre fratelli Michelangelo, Emanuele e Leone e in seguito i loro discendenti. Si tratta di uno dei casati più illustri della città, che hanno segnato la storia economica in tutto il Novecento.
Già da più di un secolo, però, un ramo della famiglia si è spostato in Prato della Valle. Verso il 1880 la casa prospiciente il Prato, accanto alla Loggia Amulea era stata acquistata da Mario Treves dei Bonfili che ci venne ad abitare con la moglie Matilde del Valle: l'edificio constava allora soltanto di un primo piano sopra con soffitte.
Siccome il piano nobile insisteva sul portico, nel pavimento era stato praticato un buco per vedere chi arrivava dal Prato della Valle: erano i prodromi del video-citofono, in attesa che la tecnologia offrisse soluzioni più pratiche e meno onerose.
Nel 1927, la figlia di Mario e Matilde, Lea, che si era sposata con Michelangelo Romanin Jacur, detto «Mecche» (figlio di Emanuele), fece eseguire dei lavori nella casa dei genitori per ricavare dalle soffitte un secondo piano e costruirvene sopra delle nuove. Nel frattempo la nuova coppia andò ad abitare in Corso Vittorio Emanuele II.
All'edificio originario fu aggiunta anche una nuova ala, dove sarebbero poi andati ad abitare i figli di Lea e Mecche. Nel 1935 Lea e Michelangelo scapparono alle persecuzioni razziali contro gli ebrei andandosi a nascondere in campagna. Intanto l'edificio era stato affidato alla cameriera, che di fronte ai soldati tedeschi aveva difeso con coraggio la casa: tra il 1943 e il 1945, nel biennio più volento della guerra, sia le truppe tedesche che quelle inglesi stabilirono il loro quartier generale a palazzo Romanin. Vi alloggiarono ufficiali e anche cavalli, tant'è vero che a guerra finita ne lasciarono li pure uno zoppo.
Quando poi tornarono i legittimi proprietari, trovarono che tutto l'edificio era stato minato, soprattutto nelle caldaie (dove ora si trovano i garages), e che porte e lampadari erano stati portati via. Fu un vero saccheggio, rimasto impunito: come del resto avvenne per molti storici palazzi della città, durante il fascismo.
Dopo l'esilio, i primi a mettere piede a Padova furono Lea e Mecche, presto seguiti da Leo e Silvana che, sposatisi nel frattempo in Svizzera, venivano ad abitare nello stesso edificio. La grande dinastia si era ricomposta. Oggi nel palazzo risiedono Davide (figlio di Lea e Silvana) con la famiglia, mentre nella casa di fronte, al di là del cortile vive l'altro figlio Giorgio con moglie e figlie.